I diavoli di via Padova (Cooper 2010)



“Adesso la gente è in giro, si muove in tutte le direzioni esce da TodoLatino e da AsiaEuropa con sacchetti di carta che gocciolano colori, i cinesi tengono aperto quattordici ore su ventiquattro 365 giorni su 365. Ti affacci sulla via Padova, io la chiamo fiume Padova a corrente umana continua e passeggi in un prato di fiori parlanti, profumi e piante carnivore. C’è da fare su questo asfalto in movimento, anche il nulla. Chiacchierare ridere discutere camminare in su e in giù entrare e uscire da case negozi e cortili. C’è vita qui. Che bel posto per un perdigiorno come me”.


Via Padova a Milano è un quadrilatero di vie a un passo dal centro. Via Padova è un quartiere - laboratorio dove si sperimenta l’integrazione, ma più spesso l’intolleranza come nei recenti fatti di sangue costati la vita a un egiziano diciannovenne. Via Padova è un mosaico di umanità che parla lingue diverse: Ascera la cassiera, Marcone, Bel e Mel, Gjaul, l’Adri, Bach, Madou, Rott, Vanessa il trans.

Mano alla mano con Tes, il protagonista di questo romanzo, un perdigiorno come tanti, senza lavoro e senza meta, impariamo a conoscere le storie degli abitanti di questo angolo di mondo a suo modo straordinario. Storie che si trascinano nei bar gestiti da cinesi e frequentati fin dal mattino da latinos e marocchini. Che entrano ed escono dagli empori degli indiani aperti fino a notte fonda. Che si spingono fino alle case fatiscenti dove vivono i pusher, i trans, i tossicodipendenti e i fantasmi dei clandestini. Storie spesso dure, fra disperazione e riscatto, fra sesso a pagamento e violenza, passioni, droga, azzardo e miseria.

Un romanzo spietato che quasi non si preoccupa del lettore. Un racconto mordace che lascia lo spazio a qualche risata (amara) e che sorprende per la sua cruda verità. Matteo Speroni ci sbatte al centro di questo quartiere maledetto e tristemente noto senza lasciarci via di scampo e che ognuno si arrangi come può.

A “I diavoli di via Padova” è ispirato lo spettacolo teatrale “Diavoli dannati”, diretto da Antonio Lovascio, della compagnia marchigiana Teatro Manet.






Brigate Nonni (Cooper 2011)



“A un certo punto le giunture dell’architettura cominciarono a cigolare. L’opera di stordimento tecnologica e ludica che la minoranza al potere aveva messo in atto decenni prima era giunta all’apice. Ma non vacillava per eccesso o implosione.

No, la ragnatela ordita dai dominanti con una bava speciale che si tramandava da una generazione politica all’altra prese a vibrare per una ragione elementare: la maggior parte del popolo stava male, così male che se ne rendeva conto. L’unico modo per farsi sentire fu scatenare i tuoni della ribellione. Furono chiamati gli Anni della tempesta”.


Che cosa succede se di colpo l’Italia scopre che i soldi per pagare le pensioni non ci sono più?  Se centinaia di migliaia di pensionati si trovano all’improvviso di fronte alla prospettiva della miseria, dopo avere lavorato per decenni?

Il romanzo Brigate Nonni è ambientato in un presente-futuro immaginario, nel quale le casse della Previdenza si rivelano vuote, a causa della corruzione, della dissolutezza dei governanti, della disoccupazione giovanile, del lavoro nero, degli inganni di una cattiva gestione statale.

La bolla esplode, molti anziani che non hanno più nulla da perdere, ai quali si uniscono emarginati, immigrati disperati, vagabondi, decidono di ribellarsi, sullo sfondo surreale di un’Italia allo sfascio, divorata da se stessa.

In una narrazione drammatica ma spesso grottesca, talvolta comica, si muove la “frangia” sovversiva Stella del mattino, composta da otto personaggi strambi, sulle cui tracce annaspano poliziotti altrettanto stravaganti. Mentre tumulti di ogni genere devastano il paese, gli otto protagonisti preparano un’azione eclatante perché si compia il loro scopo finale, la rivoluzione.



Il ragazzo di via Padova (Milieu 2014)

“Era il 28 maggio dell’anno 1930 quando una giovane donna partoriva per strada, precisamente in piazzale Loreto. In quel luogo nascevo io. Forse, ma non ci credo, quella piazza segnò il mio destino. Come naturale, non sono in grado di descrivere la mia prima infanzia. Di sicuro cominciò dove abitavano i miei genitori, già con due figlie, Franca e Grazia, di due e sei anni. Con il mio arrivo diventammo una famiglia di cinque persone, che viveva in una casa di ringhiera senza servizi igienici privati, ma in comune con tutte le famiglie del piano. L’abitazione era un vecchio negozio in disuso, senza corrente elettrica, senza gas, senza riscaldamento. Il retro dava sul cortile e il negozio, sempre con la saracinesca chiusa, era la camera da letto per tutti. Non esistevano finestre”.

“La lettura di questo libro credo sia bella e utile non solo per i “nostalgici” come me. Chi è più giovane scoprirà una Milano diversa, la Milano uscita dal fascismo, con tutte le sue ferite, la Milano povera e disperata del dopoguerra. Così lontana dalla Milano degli anni di piombo degli anni settanta o della Milano da bere degli anni ottanta.”
Dalla prefazione di Antonio Di Bella

Arnaldo Gesmundo, classe 1930, milanese di via Padova, è stato uno dei sette componenti del commando di rapinatori che il 27 febbraio 1958 a Milano assaltò un furgone portavalori in via Osoppo, un colpo passato alla storia come “la rapina del secolo”. Può essere considerato senza alcun dubbio il degno epigono italiano di Willie Sutton, il rapinatore di Brooklyn reso famoso da Pieno Giorno, il fortunato romanzo di J.R. Moehringer. Arnaldo, soprannominato dalla stampa, Jess il bandito, non ha vissuto solo quell’esperienza, la sua esistenza è impregnata di avventura e storia, 50 anni di cronaca italiana e di “etica criminale”.

Jess si racconta in questa biografia, scritta a quattro mani con Matteo Speroni, autore milanese da sempre attento alle storie provenienti dai quartieri più periferici e vivi della città, che ha anche arricchito il testo con considerazioni e approfondimenti storico sociali. Arnaldo, oggi un tranquillo pensionato, ricostruisce la sua vita come metafora di una generazione perduta, dalla Milano popolare degli anni bui del fascismo all’immediato secondo dopoguerra, con via Padova come paradigma sociale di quell’epoca e della città in continuo mutamento. La vita di strada, l’antica mala milanese, la violenza cruda della guerra, dal rito iniziatico della fuga giovanile a Marsiglia, altro luogo simbolo, alla voglia di rivalsa dei primi furti, fino agli spettacolari assalti alle fortezze del danaro, banche e furgoni portavalori, la sua specialità.
Una parte dell’opera ripercorre le terribili vicende di cui fu diretto protagonista nelle carceri di tutta Italia dagli anni del boom economico fino alle rivolte carcerarie degli anni ‘70, con analisi approfondite e mai banali, degne di un criminologo, senza fare sconti a nessuno, né a se stesso, tantomeno ai lettori.

Ad arricchire e impreziosire ulteriormente il libro un importante documento inedito: il carteggio tra Arnaldo Gesmundo e Franco Di Bella, storico capocronista del Corriere della Sera.

Arnaldo Gesmundo è nato a Milano nel 1930, ha fatto parte della banda di via Osoppo, protagonista della rapina del secolo a Milano. Da allora è per tutti Jess il bandito. Da sempre appassionato di libri, ha lavorato in diverse biblioteche carcerarie. Memoria storica della mala milanese, è alla sua prima opera scritta.





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